L’imperativo della Sostenibilità. A cura di Alessandro Genovesi
La sostenibilità aziendale, declinata con l’acronimo di ESG è ormai un concetto centrale nel dibattito economico e sociale contemporaneo. Spesso si ritiene che la diffusione delle logiche ESG sarà possibile principalmente grazie ad un proliferare di leggi e regolamenti, ai quali le aziende nella loro intera filiera dovranno attenersi. Pertanto “quando sarà obbligatorio, ce ne occuperemo…”, viene da pensare.
Sembra quasi che ai tavoli degli esperti, presso l’Unione Europea e in tutte le sedi in cui si producono norme sugli ESG, il tema centrale sia quello di annoverare all’interno del quadro normativo il maggior numero possibile di metriche legate alla sostenibilità (tassonomie, matrici, indicatori), con lo sforzo improbo di disciplinare e soprattutto rendere confrontabili degli aspetti che spesso per loro natura sono già di per sé difficili anche solo da misurare.
La realtà all’interno delle aziende è diversa: la sostenibilità rappresenta un approccio strategico che permea tutti i livelli dell’attività aziendale, integrando considerazioni ambientali, sociali ed economiche capaci di creare valore a lungo termine per tutte le parti coinvolte (i cosiddetti Stakeholders). Gli ESG sono una nuova modalità di intendere il “fare impresa”, forse già noto ad alcuni nostri lungimiranti imprenditori italiani del secolo scorso che costruivano asili, alloggi, campi sportivi, villaggi vacanze per i dipendenti e le loro famiglie, ad esempio. Di loro, non a caso, rimangono ritratti, monumenti, luoghi e fondazioni benefiche ad essi intitolati.
Perché la sostenibilità è ormai un imperativo per le aziende e non solo un’ottemperanza di regole?
In primo luogo, perché la sostenibilità aziendale implica un’attenzione particolare alla gestione responsabile delle risorse naturali, alla riduzione degli sprechi ed all’impatto ambientale delle operazioni aziendali. Questo si traduce in politiche volte al risparmio energetico, alla gestione efficiente delle risorse e alla promozione di pratiche di produzione ed economia circolare.
Parallelamente, le metriche ESG si estendono anche alla dimensione sociale, creando un valore condiviso per le comunità in cui le imprese stesse operano. Ciò implica promozione di valori sempre più rari, quali diversità, inclusione ed equità sociale. C’è in gioco il benessere e lo sviluppo di ciascun individuo, sia esso a qualsivoglia titolo “dipendente, fornitore o cliente”, che passa attraverso una fitta rete di relazioni positive.
Inoltre, la sostenibilità aziendale si caratterizza per un governo (governance) trasparente, etico e responsabile. Condurre le aziende garantendo la partecipazione delle donne, prevenendo i conflitti di interesse, la corruzione, è la strada per arrivare ad una conduzione dove non sempre il fine giustifica i mezzi.
Quindi tanto impegno e pochi vantaggi? Affatto. La sostenibilità è un driver per l’innovazione, in grado di stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, prodotti e servizi che rispondano a logiche di efficienza, progresso ed alle esigenze emergenti dei mercati mondiali. I vantaggi sono inoltre la crescita della reputazione e della fiducia di consumatori ed investitori che sono indotti a preferire quelle aziende che operano secondo pratiche responsabili e non solo in ragione della massimizzazione del profitto. Relativamente agli investitori, l’aumento della resilienza e della capacità di adattamento conduce l’azienda ad una inevitabile riduzione dei rischi operativi e finanziari; le ricadute positive sono in primis la riduzione del costo del denaro ed un mercato che tende a premiare gli investimenti sostenibili.
Ulteriori benefici dati dalla sostenibilità sono il miglioramento della reputazione e della brand equity dell’azienda, che aumentano la fiducia dei consumatori, degli investitori e delle altre parti interessate.
La sfida ESG è un’opportunità epocale, se compresa nel suo significato più profondo: elevare il genere umano a delle condizioni di vita migliori, per tutti, per anni. Non è il Pianeta che dobbiamo salvare (se la cava bene da 4,5 miliardi di anni), bensì noi stessi e le generazioni a venire.

Dottore Commercialista, Professore universitario di Finanza strategica e di Funding per l’Arte e la cultura a Ca’ Foscari, da oltre vent’anni si occupa di finanza d’impresa nell’ambito di fusioni, acquisizioni e valutazioni aziendali. Dopo un’esperienza decennale in KPMG ed in PWC, nell’ambito delle Financial Due Diligences si è specializzato come consulente professionista nel controllo di gestione e nelle operazioni straordinarie.
Genovesi supporta tutt’oggi numerose aziende nella realizzazione del sistema di controlling interno ed in tutte le fasi cruciali della vita dell’azienda, quali cessione di quote o predisposizioni di business plan e piani industriali.
Dal 2020 segue i temi legati alla sostenibilità aziendale (ESG) e nel 2023 si è certificato come ESG Auditor Aicq-Sicev. Attualmente affianca le aziende come Sustainability Manager per gli aspetti legati alla rendicontazione non finanziaria.
Oltre all’attività di docenza e consulenza, è relatore in convegni e seminari sia in ambito ESG che per gli aspetti inerenti al corporate finance.
Il nuovo Decreto sulla Rendicontazione di Sostenibilità: una tappa epocale per gli ESG in azienda. A cura del Dott. Alessandro Genovesi
L’attuazione del Decreto Legislativo n. 125 del 6 settembre 2024 rappresenta un importante avanzamento nel quadro normativo italiano, volto a disciplinare la rendicontazione societaria di sostenibilità. Il Decreto recepisce la Direttiva Europea 2022/2464/UE ed introduce nuovi obblighi di trasparenza per le imprese, imponendo una rendicontazione che va oltre i tradizionali parametri finanziari per includere informazioni relative all’ambiente, agli aspetti sociali e alla governance (ESG). Si tratta di un cambiamento sostanziale che non riguarda solo l’adempimento formale a un obbligo normativo, ma una trasformazione che richiede alle aziende di riflettere sul proprio impatto complessivo sulla società e sul pianeta.
Il Decreto Legislativo n. 125/2024 ha come obiettivo quello di aumentare la qualità e la quantità delle informazioni non finanziarie fornite dalle imprese, soprattutto in relazione alle tematiche ESG.
Il legislatore ha individuato un perimetro preciso di soggetti obbligati alla rendicontazione di sostenibilità. Questi includono le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata e altre tipologie di società in specifici casi. In particolare, le imprese obbligate sono quelle che, in base alle loro dimensioni, superano determinati limiti finanziari o occupazionali.
Il Decreto Legislativo n. 125 del 6 settembre 2024 introduce obblighi di rendicontazione di sostenibilità per specifiche categorie di imprese. Tuttavia, non tutte le imprese sono immediatamente coinvolte dagli obblighi, e il legislatore ha definito in modo chiaro quali soggetti saranno tenuti a rispettare queste nuove disposizioni, differenziando per dimensioni aziendali e mercati regolamentati.
Nello specifico, i soggetti obbligati e le tempistiche di applicazione della normativa sono i seguenti:
- Grandi imprese: sono il principale gruppo di aziende che saranno tenute a rispettare gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità. Si tratta di società che superano, per due esercizi consecutivi, almeno due dei seguenti parametri:
– Un totale dello stato patrimoniale superiore a 25 milioni di euro.
– Ricavi netti superiori a 50 milioni di euro.
– Un numero medio di dipendenti annuo pari o superiore a 250.
Queste soglie sono simili a quelle già utilizzate in ambito contabile e di bilancio per la determinazione delle imprese di grandi dimensioni. Pertanto, la normativa non si applica solo alle grandi aziende in termini di capitale o fatturato, ma considera anche la forza lavoro, un indicatore rilevante per comprendere la complessità operativa di una società. È importante notare che le imprese che superano tali soglie saranno tenute a redigere una “rendicontazione completa” di sostenibilità, coprendo tutti gli aspetti richiesti dal Decreto, inclusi i rischi, le opportunità e gli impatti legati ai fattori ESG.
Per quanto riguarda le tempistiche, le grandi imprese dovranno iniziare a fornire la rendicontazione di sostenibilità già a partire dall’esercizio finanziario successivo all’entrata in vigore del Decreto. Questo significa che, per molte imprese, il primo esercizio interessato sarà quello del 2025, con la prima pubblicazione dei dati ESG prevista per il 2026.
- PMI quotate: anche le PMI quotate rientrano nell’ambito di applicazione del Decreto, ma con alcune differenze rispetto alle grandi imprese. Le PMI quotate sono definite come quelle imprese che hanno titoli quotati su mercati regolamentati dell’Unione Europea o italiani e che rispettano limiti inferiori rispetto alle grandi imprese. In particolare, queste società devono rispettare almeno due dei seguenti criteri:
- Totale dello stato patrimoniale superiore a 450.000 euro ma inferiore a 25 milioni di euro.
- Ricavi netti compresi tra 900.000 euro e 50 milioni di euro.
- Numero medio di dipendenti non inferiore a 11 e non superiore a 250.
Le PMI quotate sono soggette a obblighi di rendicontazione semplificati rispetto alle grandi imprese, ma comunque sostanziali. Devono fornire una descrizione sintetica del modello aziendale, delle politiche di sostenibilità, dei rischi principali e delle azioni intraprese per monitorare e mitigare tali rischi. L’obiettivo del legislatore è evitare di gravare eccessivamente su queste imprese, pur garantendo un livello adeguato di trasparenza sulle loro attività.
Per quanto riguarda le PMI quotate, il Decreto prevede un periodo transitorio. Esse avranno tempo fino all’esercizio finanziario che inizia il 1° gennaio 2028 per iniziare a pubblicare le informazioni di sostenibilità. In questo modo, le PMI quotate avranno un margine di tempo più ampio rispetto alle grandi imprese per adeguarsi ai nuovi obblighi, dato che la prima rendicontazione sarà richiesta solo nel 2029.
- Imprese extra-europee con sede in Italia: sono quelle con sede al di fuori dell’Unione Europea, che operano sul territorio italiano attraverso società figlie o succursali, rientrano anch’esse tra i soggetti obbligati, purché soddisfino determinati criteri economici. In particolare, queste imprese saranno obbligate a fornire una rendicontazione di sostenibilità se il gruppo di cui fanno parte ha realizzato, negli ultimi due esercizi consecutivi, ricavi netti di almeno 150 milioni di euro all’interno del territorio dell’Unione Europea. Se l’impresa non ha una società figlia ma opera attraverso una succursale, l’obbligo si applica se la succursale ha generato ricavi netti superiori a 40 milioni di euro nell’esercizio precedente. Queste imprese dovranno redigere una rendicontazione conforme agli standard europei oppure dimostrare l’equivalenza delle informazioni fornite con quelle richieste dalla normativa UE. Se la casa madre extra-europea non fornisce le informazioni necessarie, la responsabilità di redigere la rendicontazione di sostenibilità ricade sulla società figlia o sulla succursale con sede nell’UE. L’obbligo per queste imprese entrerà in vigore con lo stesso calendario previsto per le grandi imprese europee, quindi a partire dall’esercizio 2025, con prima pubblicazione nel 2026.
Esclusioni ed esenzioni: alcune categorie di imprese sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione del Decreto. Le “micro-imprese”, definite come quelle che non superano due dei seguenti limiti (totale attivo di 450.000 euro, ricavi netti di 900.000 euro, e una media di 10 dipendenti), non sono soggette a obblighi di rendicontazione di sostenibilità, anche se quotate su mercati regolamentati.
Inoltre, le società figlie di gruppi multinazionali possono essere esonerate dagli obblighi di rendicontazione individuale, a condizione che le informazioni richieste siano già incluse nella rendicontazione consolidata del gruppo. Tuttavia, questa esenzione è valida solo se la società madre europea o extra-europea garantisce una rendicontazione conforme agli standard UE.
In sintesi:
- Grandi imprese: obbligo a partire dall’esercizio finanziario del 2025, con prima pubblicazione nel 2026.
- PMI quotate: obbligo a partire dall’esercizio del 2028, con prima pubblicazione nel 2029.
- Imprese extra-UE: obbligo per le società figlie o succursali dal 2025, con prima pubblicazione nel 2026.
- Micro-imprese: esentate.
Il cuore del Decreto è rappresentato dalla cosiddetta “rendicontazione di sostenibilità”, che deve essere inclusa nella relazione sulla gestione. L’aspetto innovativo di questo obbligo è che non riguarda solo le consuete informazioni finanziarie, ma si estende a tutti quegli elementi non finanziari che influenzano le attività aziendali. In altre parole, la rendicontazione di sostenibilità richiede alle imprese di dichiarare in che modo le loro attività impattano su fattori ambientali, sociali e di governance. Gli obblighi di rendicontazione si articolano in una serie di contenuti obbligatori che riflettono la complessità delle questioni ESG.
Il Decreto descrive il “modello aziendale” e la “strategia aziendale”. Le imprese devono spiegare come affrontano i rischi e le opportunità legati alla sostenibilità e quali misure vengono adottate per garantire che il loro modello di business sia resiliente di fronte a sfide come il cambiamento climatico o le nuove regolamentazioni ambientali. Questo implica che le imprese non potranno più limitarsi a considerare la sostenibilità come un fattore marginale, ma dovranno integrarla nella propria pianificazione strategica e operativa. In particolare, dovranno descrivere le politiche e le strategie messe in atto per affrontare i rischi ESG, con particolare riferimento alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Altra componente essenziale della rendicontazione riguarda la fissazione di una serie di “obiettivi di sostenibilità” chiari e misurabili. Le imprese devono indicare quali sono i loro obiettivi temporali, in particolare per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. Non si tratta solo di enunciare principi generici, ma di fornire obiettivi concreti e quantificabili, specificando le azioni intraprese per il loro raggiungimento. Ad esempio, un’impresa potrebbe impegnarsi a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, e tale obiettivo deve essere accompagnato da un piano dettagliato che ne garantisca la fattibilità. È inoltre richiesto che le aziende dichiarino se i loro obiettivi ambientali sono basati su prove scientifiche, con particolare attenzione alle linee guida internazionali e ai migliori standard di settore. Questo aspetto introduce un elemento di serietà e di responsabilità nella rendicontazione, poiché gli obiettivi devono essere coerenti con le politiche globali sul clima e con le aspettative degli investitori.
Gli aspetti ambientali (Environmental)
Il Decreto richiede che le imprese definiscano obiettivi concreti di riduzione delle emissioni di gas serra. Questo obbligo va oltre la semplice dichiarazione di buoni intenti: le imprese devono stabilire traguardi misurabili e, soprattutto, temporalmente definiti. Le politiche ambientali devono essere orientate verso la riduzione delle emissioni di gas serra (GHG). Per rispettare tali obiettivi, le imprese dovranno adottare politiche e tecnologie volte a migliorare l’efficienza energetica, ridurre il consumo di risorse e promuovere l’utilizzo di energie rinnovabili. Questo implica che le imprese debbano anche rendere conto delle loro strategie per la transizione energetica, ovvero il passaggio da fonti energetiche tradizionali (come combustibili fossili) a fonti più pulite e sostenibili. Le imprese sono inoltre chiamate a rendicontare su come gestiscono il consumo delle risorse naturali, specificando se e come stanno implementando politiche per ridurne l’uso o migliorare la loro efficienza. Per esempio, un’azienda nel settore agricolo dovrà dettagliare come sta ottimizzando il consumo d’acqua attraverso sistemi di irrigazione più efficienti o l’adozione di pratiche agricole che riducono l’impatto sul suolo.
Le imprese devono poi ridurre la produzione di rifiuti, favorendo il riutilizzo e il riciclo. Anche le informazioni sull’uso di materiali riciclabili o biodegradabili saranno rilevanti nella rendicontazione. Le imprese dovranno dimostrare di adottare un approccio circolare, minimizzando il consumo di risorse vergini e massimizzando il riutilizzo dei materiali già impiegati. Le attività industriali, agricole e logistiche possono influire anche sull’equilibrio naturale, provocando la distruzione di habitat, la riduzione della biodiversità e il degrado degli ecosistemi. Il Decreto richiede alle imprese di fornire informazioni su come gestiscono tali impatti, adottando misure per prevenire, mitigare o compensare i danni causati. Potrebbe trattarsi di iniziative di riforestazione, progetti di tutela della fauna locale o pratiche agricole e industriali che rispettino la conservazione del territorio.
La transizione verso un’economia più sostenibile va vista come un’opportunità di innovazione e crescita. Il Decreto invita le imprese a considerare le “opportunità legate alla sostenibilità ambientale”, evidenziando come le innovazioni in questo campo possano contribuire al miglioramento della competitività aziendale. L’adozione di tecnologie innovative, come la digitalizzazione dei processi, le soluzioni per il monitoraggio in tempo reale delle emissioni o l’uso di materiali a basso impatto ambientale, non solo riduce l’impatto negativo sull’ambiente ma può anche portare a una riduzione dei costi operativi, migliorare l’efficienza e attrarre investimenti da parte di soggetti sempre più interessati alle performance ambientali delle imprese.
Gli aspetti legati agli individui (Social)
Le imprese sono chiamate a fornire una descrizione dettagliata delle politiche adottate per garantire il benessere dei dipendenti, prestando particolare attenzione a:
- Salute e sicurezza sul lavoro
- Formazione e sviluppo professionale
- Parità di genere e inclusione
- Condizioni salariali eque e trasparenti.
La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori rappresenta un punto fondamentale della rendicontazione. Le imprese dovranno rendere conto delle misure implementate per prevenire incidenti sul lavoro, ridurre i rischi per la salute e garantire ambienti di lavoro sicuri e salubri. Questo implica l’adozione di politiche di sicurezza che non solo rispettino le normative nazionali, ma che vadano oltre, promuovendo una cultura della sicurezza all’interno dell’organizzazione.
Inoltre, il Decreto sottolinea l’importanza della così chiamata “formazione continua” e dello sviluppo professionale. Le imprese devono rendicontare sugli investimenti fatti per aggiornare le competenze del personale, garantendo che i dipendenti siano preparati a fronteggiare le sfide del mercato del lavoro e possano crescere professionalmente all’interno dell’organizzazione. Questo aspetto è strettamente legato alla capacità dell’azienda di mantenere una forza lavoro motivata e qualificata, fattore chiave per il successo a lungo termine
Per quanto riguarda la parità di genere e l’inclusione, il Decreto richiede alle imprese di descrivere le politiche messe in atto per promuovere la diversità all’interno della forza lavoro e garantire uguali opportunità di crescita e sviluppo per tutti i dipendenti, indipendentemente dal genere, dall’etnia, dall’età o da altre caratteristiche personali. Le imprese dovranno quindi rendicontare le iniziative intraprese per favorire una maggiore rappresentanza femminile nei ruoli di leadership, così come l’adozione di misure per promuovere un ambiente di lavoro inclusivo, che valorizzi la diversità e combatta qualsiasi forma di discriminazione.
Le imprese devono garantire, in termini di condizioni salariali, che le retribuzioni siano eque e conformi agli standard di mercato, evitando disuguaglianze ingiustificate tra i vari livelli dell’organizzazione. Questo include la rendicontazione di eventuali gap salariali di genere, evidenziando le azioni intraprese per colmare queste differenze.
La Governance e la descrizione dei rischi
Il Decreto pone un forte accento sulla Governance aziendale. Le imprese devono fornire una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione e controllo per quanto riguarda la gestione delle questioni di sostenibilità. Questo include non solo la definizione di ruoli e responsabilità all’interno dei Consigli di amministrazione, ma anche la spiegazione delle competenze e delle capacità che questi organi devono avere per affrontare le questioni ESG. Gli amministratori e i revisori saranno chiamati a gestire in modo proattivo le sfide legate alla sostenibilità e a integrare questi aspetti nella pianificazione strategica dell’impresa. Inoltre, il Decreto richiede che siano descritti i sistemi di incentivi legati al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, soprattutto per i manager e i dirigenti, al fine di garantire che l’intero sistema di governance sia orientato verso il rispetto degli impegni presi.
Oltre a descrivere le politiche aziendali e i piani strategici, la rendicontazione di sostenibilità deve includere anche una descrizione delle “politiche di dovuta diligenza” adottate dall’impresa. Questo significa che le aziende devono spiegare quali procedure e controlli sono stati implementati per identificare, monitorare e gestire i principali rischi e impatti negativi legati alla sostenibilità lungo l’intera catena del valore. In pratica, questo obbligo richiede alle imprese di analizzare non solo le proprie operazioni dirette, ma anche quelle dei loro fornitori, subappaltatori e partner commerciali. Un esempio può essere rappresentato da un’azienda che opera nel settore della moda e che deve assicurarsi che i propri fornitori rispettino i diritti umani e le normative ambientali nei Paesi in cui operano.
Un’altra area di rendicontazione obbligatoria riguarda la descrizione dei principali rischi per l’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità. Le imprese devono fornire un’analisi dettagliata dei rischi a cui sono esposte, siano essi legati all’ambiente, ai fattori sociali o alla governance. Questo implica un’analisi dei rischi interni ed esterni, ad esempio l’esposizione a nuove regolamentazioni ambientali, la possibilità di controversie legali legate a violazioni dei diritti umani o le conseguenze reputazionali derivanti da pratiche non sostenibili. La gestione di tali rischi deve essere descritta in dettaglio, dimostrando l’adozione di politiche efficaci per ridurre al minimo l’impatto negativo sull’azienda e sulla società.
Dal punto di vista della trasparenza, il Decreto Legislativo n. 125/2024 introduce stringenti obblighi di “pubblicazione delle informazioni”. Le imprese sono tenute a rendere pubblica la rendicontazione di sostenibilità, sia attraverso la pubblicazione nel Registro delle Imprese sia sul proprio sito web aziendale. Questo obbligo di pubblicità rappresenta una svolta significativa, poiché impone alle aziende di rendere accessibili queste informazioni a un ampio spettro di stakeholder, inclusi investitori, clienti, fornitori e il pubblico. La trasparenza diventa un elemento chiave per la fiducia nel mercato, poiché le imprese dovranno dimostrare che le informazioni comunicate sono accurate e verificabili.
UN Global Compact Network Italia presenta un Position Paper sulla Governance Trasformativa: Strategie per un Business Etico e Sostenibile verso l’Agenda 2030
Durante l’High-Level Political Forum di New York, l’UN Global Compact Network Italia ha presentato un Position Paper sulla Governance Trasformativa, con il supporto di 54 aziende aderenti. Il documento, intitolato “La Governance Trasformativa come driver di condotta responsabile per un business più etico, prospero e sostenibile”, evidenzia le strategie innovative delle imprese italiane per integrare la sostenibilità, in linea con l’Agenda 2030. Le iniziative includono la creazione di comitati per la sostenibilità, programmi di formazione e partnership con il Terzo Settore. Il paper, presentato da Marco Frey e Daniela Bernacchi, sottolinea l’importanza della sostenibilità come elemento di competitività e il suo ruolo nel contrastare l’emergenza climatica.